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giovedì 29 marzo 2012

Salvare il Tribunale

PETIZIONE
La L. 148 del 14.09.2011 all’art. 1 co. 2 stabilisce che il Governo, entro dodici mesi dalla entrata in vigore della legge, dovrà adottare uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza secondo criteri che portino alla riduzione dei Tribunali di prime grado, ridefinendo l’assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi e omogenei, che tengano conto dell’estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell’indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino d’utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale.
Sulla base del richiamato dettato normativo, in considerazione della finalità della norma e alla luce dei criteri in essa esplicitati,
I CITTADINI DELL’ALTO FRIULI RITENGONO CHE IL TRIBUNALE DI TOLMEZZO NON RIENTRI, NE' POSSA RAGIONEVOLMENTE RIENTRARE TRA LE SEDI GIUDIZIARIE DESTINATE ALLA SOPPRESSIONE.
Infatti, al di la della indiscussa efficienza della struttura giudiziaria e dei costi oggettivamente contenuti della stessa, le caratteristiche che lo contraddistinguono sono UNICHE:
il TRIBUNALE di TOLMEZZO, di antiche origini, presidia un territorio montano con caratteristiche peculiari, che lo rendono del tutto disomogeneo rispetto alla restante Provincia di Udine; serve ben 44 Comuni; la sua circoscrizione comprende due confini (con Austria e Slovenia) con sei valichi,  di cui uno autostradale ed uno ferroviario; si trova al centro geografico della nuova Europa; crea occupazione per una forza lavoro di 500 unità a fronte di una popolazione di circa 80.000 cittadini; é collegato alla Casa Circondariale, che ospita detenuti soggetti anche a particolari regimi di detenzione; individua e delimita il collegio elettorale dell'Alto Friuli.
Per tutte queste ragioni, i cittadini dell'Alto Friuli
CHIEDONO
che, nell’ambito della riorganizzazione degli uffici giudiziari, sia mantenuto il Tribunale di Tolmezzo, l'Ufficio della Procura della Repubblica presso lo stesso, nonché la relativa circoscrizione giudiziaria così come attualmente configurata, in quanto presidio dell'amministrazione della giustizia nell'Alto Friuli. 

giovedì 15 marzo 2012

Tondo atomico


Al termine di un incontro con il presidente della Slovenia, Danilo Turk, Tondo ha annunciato che avrebbe chiesto un incontro al ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera per parlare dell'ipotesi di un potenziamento della centrale nucleare di Krsko in Slovenia. Questa è un’altra conferma dell’indifferenza del presidente della Giunta per il voto democratico dei cittadini: è un vero peccato che Tondo non voglia rassegnarsi al fatto che l'Italia ha detto addio al nucleare.
Il referendum popolare ha dato, a chi ha responsabilità di governo in Italia, una chiara indicazione di condotta che non può fermarsi al confine sloveno. Invece il presidente della nostra Regione sta ormai da anni spingendo per la partecipazione italiana al raddoppio di Krsko, quasi che portare le risorse dell'Enel in Slovenia sia la via per risolvere i problemi energetici del Friuli Venezia Giulia.
C'è da chiedersi se Krsko rientri in un piano energetico regionale noto al solo Presidente, perché in tal caso gli chiederemmo di tirarlo fuori. Così potremmo cominciare a discutere seriamente, ad esempio su come valorizzare la potenzialità delle centrali di sito di Monfalcone e Torviscosa.
Debora Serracchiani

mercoledì 14 marzo 2012

Orge tangentizie

Se io o voi fossimo della Val di Susa, probabilmente oggi saremmo sulle barricate a difendere la salute dei figli, la nostra e una terra che rischia di essere stravolta e umiliata per sempre. Già questa banale osservazione avrebbe dovuto procurare alle lotte No Tav maggior rispetto di quanto ne sia stato riservato dalla politica e dai media in questi vent’anni, ovvero nessuno. 
Le ironie dei giornali di destra e del conduttore di uno dei più squallidi programmi radio, La Zanzara, sul povero Luca Abbà, caduto mentre stava inscenando una protesta del tutto legittima e pacifica su un traliccio, meritano in pieno la reazione di Alberto Perino: «Sciacalli, jene».
Se l’è cercata Abbà? Ma andiamo, piuttosto se l’è cercata la politica. Si è cercata gli scontri, la guerra civile, i blocchi stradali, perfino le violenze, con una gestione delirante di quello che avrebbe potuto essere un grande progetto. In tutta Europa si sono costruite ferrovie super veloci, ma in nessun Paese è mai nato un movimento No Tav. Perché? Perché gli italiani sono nemici della modernità? Non facciamo ridere. Perché i valligiani sono fieri ambientalisti? Anche qui ci sarebbe da ridere. Nessuno in Val di Susa ha battuto ciglio quando quel galantuomo di Gavio ha costruito una della peggiori, inutili, inquinanti e devastanti autostrade d’Italia. La verità è che in Italia c’è stata la peggior classe dirigente continentale, corrotta, incapace e incompetente.
Per vent’anni questa classe dirigente ha impedito una seria discussione nel merito sulla Lione-Torino. Troppo forti e inconfessabili erano gli interessi nascosti. Serve o non serve questa Tav? Dalla lettura delle centinaia di documenti e inchieste pro e contro, da farsi venire il mal di testa, l’unica conclusione ragionevole è che serviva vent’anni fa, quando è stata progettata, ma non servirà a nulla fra vent’anni, quando sarà ultimata. Del resto, com’è ovvio, nessun progetto resiste nella nostra epoca il tempo infinito di quarant’anni. 
Quel treno dell’alta velocità è passato e l’Italia l’ha perso, insieme a tanti altri. Se oggi si vuole andare avanti a ogni costo, alla lettera, è perché dietro la Tav si muovono interessi colossali di potentati, costruttori, mafiosi, speculatori e politici corrotti. Cifre alla mano, la Tav italiana è infatti un gigantesco scandalo e alla luce del sole. Per quale altro motivo, se non la corruzione, la nostra Tav dovrebbe costare sei, sette, dieci volte di più che in Francia o in Germania? Il governo Monti dovrebbe trovare lo stesso coraggio che ha dimostrato nel rifiutare le Olimpiadi e chiudere la pratica. Non perché sia sbagliato organizzare le Olimpiadi o costruire le reti ad alta velocità, ma perché l’Italia della crisi non può permettersi di assistere ad altre orge tangentizie.
Curzio Maltese - il venerdì di Repubblica

Due pesi e due marò

Ancora un passo e siamo al “Sakineh, subito libera!”. Per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i fucilieri di Marina in stato di arresto in India, tutta la destra ma anche parte della sinistra si sono mobilitate al grido di “Riportiamoli subito a casa”, “Salviamo i nostri marò”, “Siamo tutti con voi”. L’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa, quasi in lacrime ha dichiarato: “I nostri ragazzi devono tornare in Italia ed essere restituiti alle loro famiglie”. Si è invocato l’intervento della Nato e dell’Unione europea. Il Giornale ha scritto: “La parte sana del Paese difende i suoi soldati” e vedendo una parte della sinistra un po’ tiepida ha sottolineato, in polemica col sindaco di Milano Pisapia, che a Giuliana Sgrena e alle ‘due Simone’ “nessuna istituzione ha mai negato solidarietà e partecipazione durante i difficili momenti della prigionia”.
Non ho alcuna simpatia per le Sgrene e le Simone, ‘vispe terese’ del turismo di guerra, ma a parte che una cosa è un sequestro altra un arresto ordinato dalla magistratura di uno Stato, qui c’è il piccolo particolare che Girone e Latorre sono accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiandoli per pirati somali. All’inizio i due fucilieri si sono difesi dichiarando: “Abbiamo sparato in aria e poi in acqua, contro un’imbarcazione con cinque uomini armati”. Tesi incautamente fatta subito propria dal nostro governo (sia mai che dei ‘bravi ragazzi’ italiani sparino per uccidere, sia pur dei presunti pirati) che in seguito ha più prudentemente ripiegato sulla questione della giurisdizione: la nave da cui i due avrebbero sparato è italiana, i due sono italiani, l’incidente è avvenuto in acque internazionali, quindi la giurisdizione appartiene alla magistratura italiana. Non c’è dubbio che se l’incidente fosse avvenuto a bordo della Enrica Lexie, che è territorio italiano, così sarebbe. Ma la cosa è avvenuta a trecento metri dalla nave e quindi in ‘territorio’ internazionale e perciò neutro.
A chi spetta in questo caso la giurisdizione, al Paese dei presunti assassini o a quello delle vittime? Come scrivevo sul Fatto (22/2) all’indomani di questo tragico episodio: “Se due pescatori di Mazara del Vallo di un peschereccio che naviga al largo delle coste siciliane, sia pur in acque internazionali fossero uccisi da militari indiani imbarcati su un mercantile indiano, qualcuno dubiterebbe, qui da noi, che la competenza spetta al Paese delle vittime?”. È quel che pensano, nel caso dell’Enrica Lexie, gli indiani. A ragione. Smettiamola quindi di fare i gradassi con quell’atteggiamento neocoloniale che abbiamo assunto da qualche tempo a imitazione degli angloamericani dal ‘grilletto facile’ che han la pretesa, che anche noi adesso avanziamo, dell’immunità. Se i due fucilieri hanno sbagliato devono risponderne. Un processo in Italia, lo capisce chiunque, anche un indiano, sarebbe una farsa, i due marò sarebbero accolti come eroi e finirebbero in breve all”Isola dei famosi’.
Troppo facilmente ci si dimentica che, pur se a migliaia di chilometri, qui ci sono due morti, anche se non se ne fanno mai i nomi come se fossero delle comparse irrilevanti in questa brutta faccenda. Si chiamavano Ajesh Binki e Valentine Jelastine e avevano anch’essi, caro La Russa e cari italiani, delle famiglie e degli affetti. Come Franco Lamolinara, ucciso in Nigeria in seguito a uno sconsiderato blitz degli inglesi, per la cui morte giustamente ci indignammo. Come gli indiani si indignano per le loro.
Massimo Fini - www.massimofini.it

giovedì 8 marzo 2012

Appello

Appello per un ripensamento del progetto di nuova linea ferroviaria Torino–Lione al Presidente del Consiglio Mario Monti
Gennaio 2012

Al Presidente del Consiglio dei Ministri 
On. Prof. Mario Monti
Palazzo Chigi
ROMA
Gennaio 2012
Oggetto: Appello per un ripensamento del progetto di nuova linea ferroviaria Torino – Lione, Progetto Prioritario TEN-T N° 6, sulla base di evidenze economiche, ambientali e sociali.
    Onorevole Presidente,
ci rivolgiamo a Lei e al Governo da Lei presieduto, nella convinzione di trovare un ascolto attento e privo di pregiudizi a quanto intendiamo esporLe sulla base della nostra esperienza e competenza professionale ed accademica. Il problema della nuova linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità Torino-Lione rappresenta per noi, ricercatori, docenti e professionisti, una questione di metodo e di merito sulla quale non è più possibile soprassedere, nell’interesse del Paese. Ciò è tanto più vero nella presente difficile congiuntura economica che il suo Governo è chiamato ad affrontare.
Sentiamo come nostro dovere riaffermare - e nel seguito di questa lettera, argomentare - che il progetto1 della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, inspiegabilmente definito “strategico”, non si giustifica dal punto di vista della domanda di trasporto merci e passeggeri, non presenta prospettive di convenienza economica né per il territorio attraversato né per i territori limitrofi né per il Paese, non garantisce in alcun modo il ritorno alle casse pubbliche degli ingenti capitali investiti (anche per la mancanza di un qualsivoglia piano finanziario), è passibile di generare ingenti danni ambientali diretti e indiretti, e infine è tale da generare un notevole impatto sociale sulle aree attraversate, sia per la prevista durata dei lavori, sia per il pesante stravolgimento della vita delle comunità locali e dei territori coinvolti.
Diminuita domanda di trasporto merci e passeggeri
Nel decennio tra il 2000 e il 2009, prima della crisi, il traffico complessivo di merci dei tunnel autostradali del Fréjus e del Monte Bianco è crollato del 31%. Nel 2009 ha raggiunto il valore di 18 milioni di tonnellate di merci trasportate, come 22 anni prima. Nello stesso periodo si è dimezzato anche il traffico merci sulla ferrovia del Fréjus, anziché raddoppiare come ipotizzato nel 2000 nella Dichiarazione di Modane sottoscritta dai Governi italiano e francese. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, tra l’altro, non sarebbe nemmeno ad Alta Velocità per passeggeri perché, essendo quasi interamente in galleria, la velocità massima di esercizio sarà di 220 km/h, con tratti a 160 e 120 km/h, come risulta dalla VIA presentata dalle Ferrovie Italiane. Per effetto del transito di treni passeggeri e merci, l’effettiva capacità della nuova linea ferroviaria Torino-Lione sarebbe praticamente identica a quella della linea storica, attualmente sottoutilizzata nonostante il suo ammodernamento terminato un anno fa e per il quale sono stati investiti da Italia e Francia circa 400 milioni di euro.
Assenza di vantaggi economici per il Paese
Per quanto attiene gli aspetti finanziari, ci sembra particolarmente importante sottolineare l’assenza di un effettivo ritorno del capitale investito. In particolare:
1. Non sono noti piani finanziari di sorta
Sono emerse recentemente ipotesi di una realizzazione del progetto per fasi, che richiedono nuove analisi tecniche, economiche e progettuali. Inoltre l’assenza di un piano finanziario dell’opera, in un periodo di estrema scarsità di risorse pubbliche, rende ancora più incerto il quadro decisionale in cui si colloca, con gravi rischi di “stop and go”.

2. Il ritorno finanziario appare trascurabile, anche con scenari molto ottimistici.
Le analisi finanziarie preliminari sembrano coerenti con gli elevati costi e il modesto traffico, cioè il grado di copertura delle spese in conto capitale è probabilmente vicino a zero. Il risultato dell’analisi costi-benefici effettuata dai promotori, e molto contestata, colloca comunque l’opera tra i progetti marginali.

3. Ci sono opere con ritorni certamente più elevati: occorre valutare le priorità
Risolvere i fenomeni di congestione estrema del traffico nelle aree metropolitane così come riabilitare e conservare il sistema ferroviario "storico" sono alternative da affrontare con urgenza, ricche di potenzialità innovativa, economicamente, ambientalmente e socialmente redditizie.

4. Il ruolo anticiclico di questo tipo di progetti sembra trascurabile.
Le grandi opere civili presentano un’elevatissima intensità di capitale, e tempi di realizzazione molto lunghi. Altre forme di spesa pubblica presenterebbero moltiplicatori molto più significativi.

5. Ci sono legittimi dubbi funzionali, e quindi economici, sul concetto di corridoio.
I corridoi europei sono tracciati semi-rettilinei, con forti significati simbolici, ma privi di supporti funzionali. Lungo tali corridoi vi possono essere tratte congestionate alternate a tratte con modesti traffici. Prevedere una continuità di investimenti per ragioni geometriche può dar luogo ad un uso molto inefficiente di risorse pubbliche, oggi drammaticamente scarse.
Bilancio energetico-ambientale nettamente negativo.
Esiste una vasta letteratura scientifica nazionale e internazionale, da cui si desume chiaramente che i costi energetici e il relativo contributo all’effetto serra da parte dell’alta velocità sono enormemente acuiti dal consumo per la costruzione e l’operatività delle infrastrutture (binari, viadotti, gallerie) nonché dai più elevati consumi elettrici per l’operatività dei treni, non adeguatamente compensati da flussi di traffico sottratti ad altre modalità. Non è pertanto in alcun modo ipotizzabile un minor contributo all’effetto serra, neanche rispetto al traffico autostradale di merci e passeggeri. Le affermazioni in tal senso sono basate sui soli consumi operativi (trascurando le infrastrutture) e su assunzioni di traffico crescente (prive di fondamento, a parte alcune tratte e orari di particolare importanza).
Risorse sottratte al benessere del Paese
Molto spesso in passato è stato sostenuto che alcuni grandi progetti tecnologici erano altamente remunerativi e assolutamente sicuri; la realtà ha purtroppo dimostrato il contrario. Gli investimenti per grandi opere non giustificate da una effettiva domanda, lungi dal creare occupazione e crescita, sottraggono capitali e risorse all’innovazione tecnologica, alla competitività delle piccole e medie imprese che sostengono il tessuto economico nazionale, alla creazione di nuove opportunità lavorative e alla diminuzione del carico fiscale. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con un costo totale del tunnel transfrontaliero di base e tratte nazionali, previsto intorno ai 20 miliardi di euro (e una prevedibile lievitazione fino a 30 miliardi e forse anche di più, per l’inevitabile adeguamento dei prezzi già avvenuto negli altri tratti di Alta Velocità realizzati), penalizzerebbe l’economia italiana con un contributo al debito pubblico dello stesso ordine all’entità della stessa manovra economica che il Suo Governo ha messo in atto per fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria che il Paese attraversa. è legittimo domandarsi come e a quali condizioni potranno essere reperite le ingenti risorse necessarie a questa faraonica opera, e quale sarà il ruolo del capitale pubblico. Alcune stime fanno pensare che grandi opere come TAV e ponte sullo stretto di Messina in realtà nascondano ingenti rischi per il rapporto debito/PIL del nostro Paese, costituendo sacche di debito nascosto, la cui copertura viene attribuita a capitale privato, di fatto garantito dall’intervento pubblico.
Sostenibilità e democrazia
La sostenibilità dell’economia e della vita sociale non si limita unicamente al patrimonio naturale che diamo in eredità alle generazioni future, ma coinvolge anche le conquiste economiche e le istituzioni sociali, l’espressione democratica della volontà dei cittadini e la risoluzione pacifica dei conflitti. In questo senso, l’applicazione di misure di sorveglianza di tipo militare dei cantieri della nuova linea ferroviaria Torino-Lione ci sembra un’anomalia che Le chiediamo vivamente di rimuovere al più presto, anche per dimostrare all’Unione Europea la capacità dell’Italia di instaurare un vero dialogo con i cittadini, basato su valutazioni trasparenti e documentabili, così come previsto dalla Convenzione di Århus2.
Per queste ragioni, Le chiediamo rispettosamente di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo le necessità dell’opera.
Non ci sembra privo di fondamento affermare che l’attuale congiuntura economica e finanziaria giustifichi ampiamente un eventuale ripensamento e consentirebbe al Paese di uscire con dignità da un progetto inutile, costoso e non privo di importanti conseguenze ambientali, anche per evitare di iniziare a realizzare un’opera che potrebbe essere completata solo assorbendo ingenti risorse da altri settori prioritari per la vita del Paese.
Con viva cordialità e rispettosa attesa,
Sergio Ulgiati, Università Parthenope, Napoli
Ivan Cicconi, Esperto di infrastrutture e appalti pubblici
Luca Mercalli, Società Meteorologica Italiana
Marco Ponti, Politecnico di Milano

Riferimenti bibliografici: cfr. http://www.lalica.net/Appello_a_Monti
Note
1 L'accordo del 2001 tra Italia e Francia, ratificato con Legge 27 settembre 2002, n. 228, prevede all'art. 1 che "I Governi italiano e francese si impegnano (…) a costruire (…) le opere (…) necessarie alla realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario merci-viaggiatori tra Torino e Lione la cui entrata in servizio dovrebbe avere luogo alla data di saturazione delle opere esistenti." Non ostante la prudenza contenuta in questo articolo, i Governi italiani succedutisi hanno fatto a gara per dimostrare che la data di saturazione della linea storica era dietro l'angolo. I fatti hanno dimostrato il contrario, ma – inspiegabilmente - non vi sono segnali di ripensamento da parte dei decisori politici.

mercoledì 7 marzo 2012

Incontro a Tolmezzo

Venerdì 9 marzo
alle 20.15 presso
l’Albergo Roma di Tolmezzo

incontro dal titolo:

"PD e governo Monti: dalla parte dell’Italia"

intervengono:

il Senatore Flavio Pertoldi
Il Consigliere Regionale Enzo Marsilio

sabato 3 marzo 2012

Con i Sindaci PD della Val Susa

Possiamo dirlo? L’incessante litania dei dirigenti del Pd contro i violenti No-Tav “con cui non è possibile alcun dialogo” somiglia tanto a un pretesto per non aprire dialoghi né ora né mai con le popolazioni della Val di Susa, ancorché pacifiche nella loro protesta. Invece di trincerarsi dietro la ripetizione degli stereotipi un po’ idioti che l’informazione unificata sforna giuliva (il carabiniere “pecorella” eroe, le poesie di Pasolini che stava con i poliziotti, uffa…), leader degni di questo nome dovrebbero avere il coraggio di declinare alcune semplici verità.
Che grandi fautori del Tav furono i governi Prodi e D’Alema con il sostegno convinto degli allora Ds. Che i vertici del successivo Pd non hanno mai battuto ciglio davanti a opere palesemente inutili o pericolose o costosissime o tutte tre le cose insieme (l’aeroporto Dal Molin di Vicenza chiesto dagli Usa, certi enormi e inquietanti rigassificatori come quello di Livorno e perfino il Ponte sullo Stretto) eccitati da una malintesa modernità secondo la quale se qualcosa crea occupazione va benone, fosse pure una riedizione della piramide di Cheope. Infine, perché non ammettere che per i Democratici un valore aggiunto alla Torino-Lione consiste nella Cmc, la gloriosa cooperativa “rossa” di Ravenna che si è aggiudicata la prima fetta dei lavori con la galleria esplorativa. Compagni muratori.
Malignità? Inevitabili, però, se un grande partito del centrosinistra fa finta di non sentire ciò che dicono i sindaci Pd della valle che da anni votano a ripetizione delibere contrarie al progetto. O che fa finta di non sapere ciò che perfino l’Economist (3 settembre 2011) ha scritto sull’ “illusione ingannevole” dei treni ad alta velocità che “raramente conseguono i vasti benefici economici che i suoi promotori prevedono”. Che poi alla fine il segretario Bersani e i contestatori entrati nella sede del Pd non si siano incontrati è la rappresentazione plastica di quanto detto. Un’altra buona scusa per voltarsi dall’altra parte.
Antonio Padellaro - il Fatto Quotidiano

giovedì 1 marzo 2012

Pensiero unico

Da Dossier di Repubblica 1° marzo 2012:
"La linea storica che già esiste tra le due città sarebbe in grado di smaltire fino a 19 milioni di tonnellate di merci. Ora ne passano cinque. Quindi per l'agenzia si rischierebbe di spendere molti soldi senza una reale svolta nel trasporto merci. Questo è l'unico punto a favore dei No Tav che arriva dalla Francia.”
L’unico punto!!! si fa un’opera faraonica che non serve a un cazzo e per “Repubblica” è l’unico punto a favore dei NO TAV!!!

Testo Unico Sicurezza

In un cantiere, se fosse un cantiere, in presenza di macchine movimento terra, le condutture ad alta tensione si staccano. Chi non l’ha fatto, ne è responsabile.
In un cantiere, se fosse un cantiere, se succede un incidente, i lavori si fermano, la magistratura pone il cantiere sotto sequestro, si apre un’inchiesta, e si accertano le responsabilità.
Nulla di tutto ciò è successo. Luca Abbà era a terra, le ruspe continuavano a lavorare.
In un cantiere, se fosse un cantiere, non si iniziano i lavori in presenza di estranei.
Vedo però che il mio ragionamento ha alcune pecche, che debbo infine io stesso mettere in evidenza:
Quello di cui parliamo non è un cantiere, ma un fortino militare. Nessuna reale opera civile vi viene messa in atto.
Luca Abbà non era un estraneo. Vive in Valsusa. Ed è proprietario di un pezzetto di quel terreno.
Massimo Zucchetti - Professore ordinario Dip. di Energia del Politecnico di Torino