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venerdì 30 aprile 2010

NO OGM

Dopo aver incontrato una delegazione dei rappresentanti della Coldiretti, WWF e altre associazioni di produttori che hanno consegnato una proposta di legge contraria all’OGM, il gruppo PD ha deciso di appoggiarla.

Le motivazioni di questa decisione sono tante, ma quando sono gli stessi produttori a chiederlo per noi – ha dichiarato il capogruppo del PD, Moretton - diventa un dovere sostenerli e difenderli in questa scelta che li vede protagonisti.

Del resto se per primi a non volerlo e a non crederci sono proprio i produttori, significa che qualche dubbio serio dovremmo preservarlo tutti. E’ vero, comunque, che non vi è nessuna certezza e nessuna garanzia che nel tempo questo tipo di produzione possa in qualche modo essere dannosa alla personale e allo sviluppo della natura stessa.

Vero è, infatti, che benché ci siano varie autorevoli voci a favore, non c’è stato un tempo sufficiente che possa rivelare una garanzia assoluta. Pertanto riteniamo che non solo la prudenza è d’obbligo ma crediamo altresì che frenare questo percorso possa significare la volontà di maggiore razionalità nella sperimentazione e nelle conseguenze che, a medio e lungo termine, possono rivelarsi. Troppo spesso siamo stati peccatori di conseguenze dannose e spiacevoli proprio per interventi inconsulti o poco prudenti che hanno determinato risultati irreparabili. E’ vero che la scienza deve fare il suo percorso, è vero che alla scienza bisogna crederci ma è altrettanto vero che il limite che la scienza pone alle sue sperimentazioni corre sempre sul filo del rasoio. Ed è nostro dovere evitare che quel filo penda sempre dalla parte della prudenza e del quasi certo che dovrebbe equivalere alla più ampia percentuale di garanzia. Ecco perché sosteniamo i produttori e quelle categorie che operano nella natura e nel rispetto di essa!

Gianfranco Moretton


lunedì 19 aprile 2010

Jena ridens

Ieri mattina, sciaguratamente, ho acceso la tv e mi sono imbattuto su una rete Mediaset nella telecronaca diretta del funerale di Raimondo Vianello. Del grande attore scomparso, per sua fortuna, non c’era traccia, essendo già ben chiuso nella sua bara. In compenso imperversava dappertutto un altro comico, anzi un guitto tragicomico con le gote avvizzite e impiastricciate di fard fucsia e il capino spennellato di polenta arancione, che officiava la cerimonia, dirigeva le pompe funebri, smistava il traffico delle préfiche, abbassava il cofano del carro, salutava la folla come Gerry Scotti, poi nella chiesetta sbaciucchiava a favore di telecamera la povera vedova pietrificata in carrozzella e cercava di farla ridere con qualche battuta all’orecchio, chiamava i battimani associandosi ai cori da stadio "Raimondo Raimondo" sollecitati da Pippo Baudo: era il presidente del Consiglio.

Sul pratone di Milano2, un maxischermo da concerto rock ingigantiva quelle immagini raccapriccianti esponendole al "bell’applauso" di una folla di curiosi armata di telefonini e videocamere per immortalare la sfilata dei "vip", come sulla banchina di Porto Rotondo e nel dehors del Billionaire a Ferragosto. Infatti, in quel festival di botulini e siliconi, incedeva persino Lele Mora (Luciano Moggi, altro magister elegantiarum, era passato il giorno prima in una pausa del suo processo). Ho sperato con tutto il cuore che al grande Raimondo, impegnato nell’ultimo viaggio, sia stata risparmiata la vista di quello spettacolo sguaiato, volgare, fasullo: l’esatto contrario della sua vita garbata, elegante, ironica e autoironica. L’estremo oltraggio.

Vianello era, politicamente, un berlusconiano. Ma, antropologicamente e artisticamente, era l’antitesi vivente del berlusconismo. Infatti han dovuto aspettare che morisse per coinvolgerlo, ormai impotente e incolpevole, in una baracconata invereconda che ricorda il feroce episodio de "I nuovi mostri" firmato da Scola, in cui Sordi, guitto di provincia, recita l’elogio funebre del capocomico al cimitero, sul bordo della tomba, rievocandone le battute più grasse e pecorecce mentre tutt’intorno si applaude e si sghignazza. Gli storici del futuro che tenteranno di interpretare l’Italia di oggi non potranno prescindere da quelle immagini, perché difficilmente troveranno miglior reperto del nostro tempo: l’epoca dei senza pudore e dei senza vergogna. Una bara sequestrata da un anziano miliardario squilibrato, malamente pittato da giovanotto, che si crede Napoleone e monopolizza la scena con la stessa congenita volgarità con cui, proprio un anno fa, passeggiava sui cadaveri dell’Aquila accarezzando bambini, baciando vecchie, promettendo case e dentiere nuove per tutti.

Una povera vedova incerottata e distrutta dalla malattia e dal dolore esposta alle telecamere e ai megascreen mentre mormora “Raimondo, io sono qua” senza neppure il diritto di farlo sottovoce, in penombra, lontano da microfoni, occhi e orecchi invadenti, pronti a trasformare tutto in "gossip". E, tutt’intorno, nessuno che notasse lo scempio. Nemmeno un consigliere che suggerisse al capo un po’ di raccoglimento, di compostezza, di silenzio, o gli spiegasse che ai funerali non c’è niente da ridere nè da applaudire. Men che meno ai funerali di Vianello, al quale bastava e avanzava il bellissimo necrologio bianco dettato dalla sua Sandra. "Berlusconi – scrisse un giorno Montanelli – è talmente vanesio che ai matrimoni vorrebbe essere la sposa e ai funerali il morto".

Infatti, anche per evitare di ritrovarselo cianciante alle sue esequie, il vecchio Indro lasciò detto nelle sue ultime volontà: "Non sono gradite né cerimonie religiose, né commemorazioni civili". Forse Berlusconi non se n’è accorto, ma ieri ha seppellito sguaiatamente l’ultimo berlusconiano elegante e ironico rimasto in circolazione. Se lo capisse, se ne preoccuperebbe più che per il divorzio da Fini. Ma, se lo capisse, non sarebbe Berlusconi.


Marco Travaglio

giovedì 1 aprile 2010

Perchè


Avrei bisogno anche io di un "decreto interpretativo” che mi chiarisse, finalmente,perché ho sempre pagato le tasse.

Perché passo con il verde e mi fermo con il rosso.

Perché pagò dì tasca mia viaggi, case, automobili, alberghi.

Perché non ho un corista vaticano di fiducia che mi fornisca il listino aggiornato delle mignotte o dei mignotti.

Perché se un tribunale mi convoca (ai giornalisti capita) non ho legittimi impedimenti da opporre.

Perché pago un garage per metterci la macchina invece di lasciarla sul marciapiede in divieto di sosta come la metà dei miei vicini di casa.

Perché considero ovvio rilasciare fattura se nei negozi devo insistere per avere la ricevuta fiscale.

Perché devo spiegare a chi mi chiede sbalordito “ma le serve la ricevuta?” che non è che serva a me, serve alla legge.

Perché non ho mai dovuto condonare un fico secco

Perché non ho mai avuto capitali all’estero.

Perché non ho un sottobanco, non ho sottofondi, non ho sottintesi, e se mi intercettano il peggio che possono dire è che sparo cazzate al telefono

Io - insieme a qualche altro milione di italiani - sono l'incarnazione di un'anomalia. Rappresento l’inspiegabile.

Dunque avrei bisogno di un decreto interpretativo ad personam che chiarisse perché sono così imbecille da credere ancora nelle leggi e nello Stato.


Michele Serra - la Repubblica