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giovedì 30 agosto 2012

Quale PD?


La recente polemica di Arturo Parisi con Michele Prospero su Togliatti (e sul rapporto tra la figura dell’ex segretario comunista e il Pd) non ha avuto tutta l’attenzione che merita; forse perché suscita qualche imbarazzo. Parisi ci dice (l’Unità del 25 agosto) che quando ha letto l’articolo che Prospero ha dedicato al 48° anniversario della morte di Togliatti (l’Unità del 22 agosto) è tornato indietro di due anni, quando pose una domanda da lui stesso definita “provocatoria”: perché il Pd dovrebbe celebrare Togliatti? Allora non ebbe risposta da nessuno. Prende atto di averla avuta oggi, con la «nitida riflessione» di Prospero; anche se «di certo non quella che sperava». Perché questa risposta non piace a Parisi? Prospero ascrive a merito di Togliatti e del partito da lui plasmato «se la sinistra storica non si è spenta completamente… e se un nucleo parziale ma inconfondibile di essa si rintraccia ancora oggi nella esperienza del Pd». E conclude che sbaglierebbe il Pd a ignorare o sottovalutare questa «miniera ancora attiva». «Il che equivale a dire – obietta Parisi – che se ci è stato possibile pensare, fondare e aderire al Pd come partito nuovo in discontinuità con altri passati, questo è stato grazie alla perdurante continuità con il “partito nuovo” di Togliatti che consentì allora di passare alla nuova forma di partito di massa radicato e aperto ed oggi di integrare apporti nuovi grazie ad adattamenti e innesti».
Il Pd è così richiamato a «riconoscersi in una precisa identità radicata nella sinistra storica e, al suo interno, in quel nucleo inconfondibile del sentire collettivo figlio della tradizione che riconosce in Togliatti il suo progenitore». Parisi legge esattamente Prospero; il quale, peraltro, è molto «nitido» di suo; e ne conclude che «il tempo del Pd come partito aperto a tutti è finito». La divaricazione non potrebbe essere più netta.
La lettura di Prospero e la polemica di Parisi riportano me indietro non di due, ma di ventitrè anni; precisamente al 20 agosto 1989. Da 25 anni la data era l’occasione per misurare il cammino compiuto, per controllare la rotta orientando il sestante sull’alto e fermo riferimento che Togliatti costituiva per il Pci. Quell’anno a scrivere l’articolo destinato alla prima pagina de l’Unità fu Biagio De Giovanni, filosofo, rettore dell’Orientale di Napoli, nella direzione del Pci dal marzo precedente, a seguito del XVIII Congresso.
Paolo Franchi (Corriere della sera, 26 agosto) ha ricordato il titolo di quell’articolo, “C’era una volta Togliatti e il comunismo reale”: un titolo indubbiamente forte, che suscitò sorpresa e anche scandalo; ma l’articolo lo era anche di più. «Stiamo assistendo al dissolvimento di quello che una volta si chiamava sistema socialista… Il comunismo reale sta concludendo la sua storia... Tornando oggi a riflettere su Togliatti è necessario osservare che il suo pensiero e la sua prassi politica sono profondamente coinvolti in tutta questa vicenda… la sua passione politica era sorretta dalla persuasione che l’antagonismo radicale capitalismo-comunismo tendeva a risolversi con la sconfitta epocale del primo. La persona e la stessa cultura di Togliatti non possono non rimanere coinvolte nella fine di un mondo... il giudizio politico deve fermarsi su questo passaggio essenziale... Dobbiamo compiere ogni sforzo per ritrovare la freschezza di una visione critica oltre il pesante fardello che portiamo sulle spalle... Guardare in avanti è la condizione per vincere l’aspra battaglia che ci attende».
Il Muro non era ancora caduto; né l’evento veniva considerato (da quasi tutti) così imminente. Questi, però, erano i convincimenti e gli orientamenti di una parte – a mio avviso la più consapevole e determinata – del Pci e del suo giovane gruppo dirigente. Di lì a poche settimane l’evento precipitò e, in base a quei convincimenti, furono fatte scelte intorno alle quali si accese una furibonda lotta politica, e non solo. È chiaro che né oggi, né un quarto di secolo fa l’oggetto era il giudizio sul leader storico del Pci.
In questi ragionamenti, Togliatti è il simbolo di quella «perdurante continuità» cui fa riferimento Parisi. Nel 1989 su l’Unità, De Giovanni disse che non si poteva più utilizzare quella «stella polare»; la continuità era sterile, la sfida della “discontinuità” inevitabile. Oggi, dopo 23 anni, su l’Unità, Prospero lo ripropone non solo come fonte della vitalità di quanto c’è ancora di sinistra in Italia, ma anche come spina dorsale dell’odierno Pd.
Nel lungo tempo che separa questi due articoli, si è svolta una durissima contesa fra quanti erano d’accordo con De Giovanni e quanti sono d’accordo con Prospero. Come vediamo, ha finito per prevalere l’idea che la sinistra del presente e del futuro non può essere che in continuità con quella del passato. La posizione di De Giovanni di 23 anni fa ha perso; ha vinto, invece, la restaurazione del Prospero di oggi. Non sono, perciò, d’accordo con Paolo Franchi che ironizza chiedendo cosa c’entri Togliatti col Pd. C’entra, e come! Il riferimento a Togliatti è il più significativo test della capacità e disponibilità delle persone di provenienza e ascendenza Pci a innovare la propria cultura politica, a progettare e promuovere una sinistra diversa da quella che deriva dalla loro esperienza passata.
È assurdo pensare che questo esito non pesi sulla condizione odierna e sulle prospettive future del Pd.
E sbaglia chi, per distrazione (o per opportunismo) se ne lava le mani come se si trattasse di questioni di lana caprina che possono interessare, al massimo, gli ex-Pci. Non è saggio ignorare la drammaticità di quanto dice Parisi a conclusione della sua polemica con Prospero: «Peccato che non fosse questo il Pd che avevamo pensato. Peccato non sia questo il Pd del quale ha bisogno l’Italia». 
Claudio Petruccioli - europaquotidiano.it

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