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venerdì 13 giugno 2008

Se nè andato Ignazio Piussi


Quattro figli aveva Giuseppe Piussi, nipote del Pucich, antesignano delle guide di Canin e Montasio. E nell'aprile del 1935 gliene arrivarono due in un colpo: Libera e Ignazio. «Mi è muarte le cjare, mi è crepât il purcel, e cumò mi nàssin doi gìmuj» si racconta abbia commentato. Anni di povertà, in cui i valligiani, costretti a "lâ tal trist" per bisogno, non capiscono chi vi si avventura per diletto. Anni in cui si arrampica negli intervalli del lavoro (e del bracconaggio, che serve per aver carne in tavola, ma fa rischiare la galera), e i materiali cominciano ad essere importanti, ma mai quanto la tenacia e la convinzione.

Ignazio ne ha. E un "uomo rupe", come disse Maraini del suo conterraneo Cassin, notando in lui una materia più densa e dura di quella di cui sono fatti i monti, una forza di volontà capace di vincerla sulla forza di gravità.

Da pastorello il ragazzo si avventura già sulle creste, poi, dopo un approccio con il fondo e il salto con gli sci (concluso da un atterraggio di testa dopo il volo), gli esodi alpinistici sui monti di casa, con gli amici di Cave, i Perissutti e i Bulfon. Nel 1954 il primo exploit, sulla repulsiva Nord del Piccolo Mangart di Coritenza, seguito da altre "prime" nelle Giulie. Poi è la ripetizione della via "Lacedelli" alla Scotoni, considerata all'epoca la più difficile dell'arco alpino. Gli Scoiattoli (che, secondo Rébuffat, avevano martellato alcuni appigli per renderla ancor più difficile) aspettavano un Bonatti o un Maestri, che magari si scornassero. Arriva, invece, l'ignoto furlàn, che dice di aver trovato pane più duro sul Mangart. Apriti cielo! I giornalisti veneti chiudono il taccuino e spiegano che questo non si può scrivere: è la via di Lacedelli, che l'anno prima ha fatto il K2... La Scotoni, la solitaria allo spigolo Deye e la Sud della Torre Trieste, in Civetta, proiettano Ignazio sulla ribalta dell'alpinismo internazionale. 

Tra le imprese successive c'è il Pilier del Freney, il nuovo Orco, che aveva sterminato la cordata italo francese, cui erano scampati solo Bonatti, Gallieni e Mazeaud. Particolare inusitato nella storia dell'alpinismo, quelli di Valcanale si tassano per pagare il taxi sino a Courmayeur al loro concittadino. Poi vengono il Pilastro Nord del Piccolo Mangart di Coritenza, la prima invernale della Solleder alla Civetta, le salite alla Punta Tissi, allo spigolo nordovest della Cima su Alto. Ma forse la cosa più impressionante è la sfida con l'Eigerwand: per 13 volte, Piussi la tenta, e, pur non riuscendo a uscire in cima, riesce a tornare a casa vivo.

Del '68 e del '73, la partecipazione a due spedizioni in Antartide organizzate da Cai e Cnr, nella quale sale otto cime inviolate.

«Con la prima invernale della via Solleder sulla grande parete della Civetta, festeggiata soprattutto in Germania, Ignazio Piussi dimostrò le sue capacità di grande alpinista: ardore, resistenza, fortuna. Nessuno allora in Italia poteva eguagliarlo», è il ricordo di Reinhold Messner, suo compagno nella spedizione al Lhotse del 1975. «Ignazio tuttavia non era in concorrenza con alcuno. Usciva, andava in montagna: da alpinista, da bracconiere, da amante. Quasi sempre da capocordata: sul pilone centrale di Freney, che conduce in vetta al Monte Bianco; sulla parete Nord dell'Eiger d'inverno; su quel­l'enorme diedro sotto la Punta Tissi nel Civetta, dove solamente la fortuna poté salvare gli audaci. La fortuna del capace, però».


Luciano Santin - Messaggero Veneto

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