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mercoledì 8 febbraio 2012

Fontanini , che pena...

All’inaugurazione del Centro culturale della Beata Vergine delle Grazie, in Via Pracchiuso, l’on. Pietro Fontanini si è permesso di affermare: “se sono ciò che sono è perché qui sono stato stimolato a ragionare, nel solco degli insegnamenti di padre David Maria Turoldo. … L’auspicio è che questo resti un luogo della religione cattolica che non lasci spazio né a mussulmani, a buddisti, né tanto meno agli atei”.
Fontanini si è confermato un campione della contraddizione: se avesse effettivamente fatto tesoro del pensiero e seguito gli indottrinamenti ecumenici di padre Turoldo, non si sarebbe mai permesso di suggerire ai “Servi di Maria” di fare uso esclusivo di una casa aperta alla cultura plurale.
Le parole, il carisma, gli esempi e le testimonianze di Padre Maria Turoldo sempre s’intrecciano con l’apertura totale al dialogo, al confronto con le altre religioni e con le persone non credenti, ben prima del Concilio Vaticano II.
Il pensiero troppo “liberale” di padre David, fuori dagli schemi tradizionali, sempre orientato all’accoglienza, lo portò a fondare la "Casa di Emmaus", presso la quale istituì il Centro di studi ecumenici, che accoglieva persone anche atee e di religione islamica all'insegna di un ecumenismo radicale simile al sincretismo.
Turoldo si fece voce degli oppressi, anche di quelli più lontani, per la libertà e la giustizia. Fu capace, con coraggio, di sostenere battaglie scomode, tanto da essere emarginato dal suo stesso tessuto cattolico.
Nel 1974, in occasione del referendum abrogativo della legge sul divorzio, discostandosi dalla morale cattolica, si schierò per il "no".
Rifiutò sempre di schierarsi con un partito: nel 1948 rifiutò anche di sostenere la Democrazia Cristiana affermando che «non bisogna confondere la Chiesa con un partito, né un partito con la Chiesa».
Questo era padre Turoldo, una “voce contro”, un religioso atipico, spesso in contrasto con gli ordinamenti della Chiesa ma sempre e fieramente dalla parte dei poveri, dei deboli, degli oppressi, dei “diversi”, degli ultimi.   Lui, che si definiva «servo e ministro della Parola», uomo della Resistenza, si congedò dal mondo dicendo «la vita non finisce mai», e queste sue parole dovrebbero spronarci ogni giorno ad amare questo bene supremo sopra ogni cosa e a voler bene al prossimo, di qualunque fede, etnia, pensiero. 
Consiglio pertanto al presidente della Provincia di ristudiare i saggi di padre Turoldo, le sue opere letterarie e di rileggere le sue poesie partendo da questa:

«Fratello ateo, nobilmente pensoso,
alla ricerca di un Dio
che io non so darti,
attraversiamo insieme il deserto.
Di deserto in deserto andiamo oltre
la foresta delle fedi,
liberi e nudi verso
il Nudo Essere
e là
dove la parola muore
abbia fine il nostro cammino».


Arnaldo Scarabelli

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